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Il Palazzo delle Poste di Trento

10/19/2008 - 10/19/2008

 

Il Palazzo delle Poste di Trento, progettato da Angiolo Mazzoni nel 1929, riconfigurò in forma di nuovo isolato urbano l’ottocentesco palazzo postale astroungarico ed i “frammenti” della rinascimentale Casa Geroldi
a Prato. Ne risultò un complesso articolato di funzioni, luoghi, architetture e ambienti, con opere, ora in parte perdute, di Depero, Prampolini, Tato (Guglielmo Sansoni), Bonazza, Pancheri, Zuech, Ticò.
Con uno straordinario lavoro di alta sartoria, Mazzoni selezionò le preesistenze, ricompose frammenti, tesse trame di percorsi che legano insieme parti sempre distinte e riconoscibili. Le foto degli anni trenta scattate da Perdomi e Unterveger documentano un’architettura di stratificazioni artefatte, luogo di compresenze
dove convivono in armonia e contraddizione storicismi, arcaismi, modernismi, in una collezione di frammenti e citazioni.
Fu un cantiere di restauro dove conservazione, trasformazione ed invenzione si arricchirono
reciprocamente e dove il Rinascimento dell’ “Età moderna” ed il moderno “Novecento” si confrontarono.
Ridisegnato dal “tempo”, dagli incendi e dall’efficienza asburgica, “riplasmato” da Mazzoni e solo parzialmente alterato dalle recenti riorganizzazioni funzionali e societarie, il Palazzo è “manifesto” della capacità che ha l’arte di trasfigurare. La città ed i suoi amministratori sono oggi chiamati ad
interrogarsi sul possibile riuso di quello che per carattere è un “palazzo pubblico”.
Nel corso dei recenti lavori di sistemazione degli uffici postali ed in occasione dell’allestimento
di Manifesta 7, è stata documentata la sorprendente sequenza cromatica degli ambienti interni. Ai “futuristi” rossi, ocra, blu, verdi, marroni e tinta alluminio stesi su porte e pareti, si affiancarono le eterogenee
opere degli artisti degli anni trenta.
Nella Trento “redenta” dal primo conflitto mondiale, gli intonaci esterni color azzurro sabaudo risultarono più forti di ogni tricolore.
Senza nostalgia per il passato, auspichiamo il ritorno del colore, per rispetto dell’arte e per l’indubbia eleganza di quella scelta autobiografica negata dal triste grigiore attuale restauro conservazione trasfigurazione reinvenzione selezione costruzione della memoria.
Fabio Campolongo per MANIFESTA7

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